non mi sono mai sentita rappresentata da un giornale. trovo me stessa con più facilità online, tra qualche blog/magazine e tra un paio di siti iconografici e decisamente street. però, la carta sono io. trovo me stessa nell'odore della colla delle buste per le lettere. mi manca instagram, ma non ho intenzione di riattivare il mio profilo.
è strano. sono strana. i miei amici sono strani. le mie figlie sono strane, mio marito è strano. mia mamma è lampoon.
io&i giornali. amo l'immagine pulita e contemporanea di Vogue Paris, non assomiglio a Carine Roitfeld, ma in fondo vorrei essere Emmanuel Alt e bruciare tutti i volumi a uovo di Giambattista Valli. non lo farò mai.
Elle, Marie Claire, Amica, belli ma non sono la mia moda. mi piace leggerli, ma non sono io.
mi sono divertita a leggere Vogue America. compro Vanity Fair per l'attualità. poi, cerco in rete. spesso, passo più tempo su siti poco creativi, ma di servizio come style.com, piuttosto che su chissà quali esplosioni di creatività in pixel.
forse, non ho personalità. giro e giro, mi perdo e mi ritrovo. sono un anima in pena. in cerca di un'idea di moda che non ho mai trovato. un modo di rappresentare questo incredibile paradigma della vita senza restare imbrigliati in servizi lontani anni luce o in rubriche che sembrano negozi di caramelle.
la desolazione dell'anima. forse sono davvero stonata, forse sono una di quelle persone che dovrebbero vivere senza elettricità, vestite come d'artagnan o lady oscar, strizzate in un chilo di jabot. fuori tempo e fuori luogo. comunque e sempre, fuori.
poi, è successo qualcosa. è arrivato qualcuno che mi ha fatto sentire a casa. che mi ha fatto percepire, editorialmente e forse anche spiritualmente, quel senso di appartenenza, senza neppure averla mai conosciuta. si chiama Carlo Mazzoni, ha 35 anni e non ci siamo mai incontrati. eppure, io gli devo molto.
gli devo un'emozione profonda, che forse qualcuno di voi, avrà già provato. quel sentimento esaltante che significa tu sei come me, non sono l'unica strana creatura fuori tempo. allora, avevo ragione, si può raccontare la moda al di fuori dai canali ufficiali di comunicazione. non sono sola nell'universo (o forse, gli alieni esistono?).
Carlo Mazzoni, per come lo conosco io, è stato il direttore de L'Officiel Italia, ora è il direttore di Lampoon, magazine semestrale che prende il nome dai giornali indipendenti, taglienti, ironici delle università americane dei miei sogni, tipo Harvard. è anche un romanziere, sceglie outfit creativi ed è probabilmente molte altre cose, ma io per l'appunto, non lo conosco. e forse non vorrò mai conoscerlo per conservare di lui un'idea quasi mistica.
Lampoonè arrivato questa mattina a casa mia, ho aperto il pacco, rompendo la carta, emozionata, l'ho letto tutto d'un fiato, esattamente come facevo quando arrivava a casa l'Officiel. ancora una volta, mi sono ritrovata in ogni pagina. questo è il modo con cui io vivo la moda. così vorrei sempre raccontarla.
la moda è una cosa seria, è una delle più importanti industrie italiane, è un'eccellenza che niente e nessuno fino a oggi è riuscito a portarci via. la moda ha qualcosa di incomprensibile, intoccabile, impercettibile, quella percentuale di incanto non replicabile che la rende unica, eppure, al tempo stesso, è terrena, come poche altre arti. vive di numeri e registra numeri. la moda è una cosa serissima. va trattata con rispetto, devozione, ma anche con ironia e passione. e non si dica che è una cosa per femmine.
la moda è arte e vita, è rischio e analisi, è letteratura, scultura, olio, pittura, poesia, parole, numeri, fisica, architettura, amore, percentuali, premonizioni, idee, logica e follia. la moda è ogni cosa. la moda è in ogni cosa. per me.
forse Carlo Mazzoni in un'altra vita era un mio amico. e a pagina 68 di questo numero di Lampoon ci sono anch'io, a raccontarvi una storia d'amore impossibile, quella tra un'hashtag e una preposizione subordinata. e sono felice.